Storie di parodia quotidiana

La gita fuoriporta

Ecco, quando vai un gita con i bimbi, capita che al ritorno a casa, tu ti senta stanca come dopo aver fatto la maratona di New York, la scalata del Manaslu o la traversata della Manica a nuoto.

Ma che dico, in realtà sei già stanca prima di cominciare.

Stanca o stanco, si capisce.

La mattina s’inaugura solitamente con il/la piccolo/a di casa che se ne sta nel letto senza alcuna voglia di destarsi, normalmente collocato sulle lenzuola nella posizione caratteristica dell’uomo vitruviano, e gli si solleva il labbro in una sorta di ringhio tipo Rottweiler quando con grande cautela ti accingi a tentare di svegliarlo.

A seguito dell’eroica riuscita dei ripetuti e temerari tentavi genitoriali di farlo/a alzare, ecco che nel panico e irritabilità generale cominciano le attività di preparazione replicanti in toto la scena iniziale di “Mamma ho perso l’aereo”: gente che si disperde come topi con la labirintite per tutta casa, intenta ad afferrare cose a caso per infilarle in zaini che risulteranno avere il peso specifico di un pezzo di granito e il contenuto assolutamente e prevalentemente inappropriato per affrontare la giornata che ci si appresta a cominciare, un Potpourri di roba inutile, buona sola a procurare una bella infiammazione del nervo sciatico allo sfortunato soggetto selezionato per il suo trasporto.

Chiudendo l’uscio di casa, allora, si è già belli e sudati tipo porchetta allo spiedo, nonché zavorrati da un carico che nemmeno uno sherpa in Tibet.

La gita, sarà riassumibile in tutto un: “‘braccio mamma! Giù mamma! Ciuccio mamma! Nanna mamma! Pappa, mamma! Braccio, papà! Là, papà! Via, papà! Scilolo papà! Qua qua, papà!”, intervallato ed arricchito da atti disperati inscenanti capricci d’autore ad altissimo tasso drammatico, e, ovviamente, un immancabile pucciamento strategico e impegnato di sé stessi, dei propri arti, abiti, del ciuccio o della bottiglia dell’acqua in luoghi purulenti e sozzi, vedi bagni, pozzanghere, fanghiglia varia ed eventuale e sottoboschi non meglio precisati, umidi, bagnaticci e altamente compositi.

Correrai, ah se correrai. Farai mille volte squat, chilometri e udirai strilli che nemmeno un tenore di grazia.

E poi: accarezzerai ogni singolo animale, selvatico o da fattoria, ci parlerai, lo saluterai con enorme entusiasmo e profondo trasporto.

E ancora: avrai il collo scottato dal sole e poi, prenderai un acquazzone, e insieme si guarderà l’arcobaleno, a bocca spalancata.

Mangerai rincorrendo la tua prole, berrai da una borraccia quasi certamente caduta e pucciata precedentemente in maniera dolosa (come dicevamo) chissà dove.

Arriverà un momento in cui, però, finalmente, così stremata, rimetterài piede in macchina e sarà tua facoltà appoggiare il deretano trionfalmente sul sedile. Lì, guarderai sospirando esausta tuo figlio/a addormentato/a con la testa a ciondoloni all’istante, non appena collocato nel suo seggiolino.

E sarà quello il momento in cui ti troverai a riflettere al contempo su due cose:

-a) sarebbe stato meno stancante lavorare in miniera e fare l’estrattore di lignite

-B) nulla potrebbe valere quanto le risate, le corse, le foto, le sparate e le meravigliose ore vissute con la tua famiglia, in una splendida, stancante, memorabile e unica sola giornata.

Le gite fuoriporta sono un concentrato della nostra quotidianità: disorganizzazione, caos, ancora disorganizzazione, ancora caos, e poi “perché hai portato i braccioli se andiamo in montagna” , stupore, amore e un sacco di risate, mille “guadaaaa” stupiti e duemila fotografie mosse che non riesci proprio a cancellare.

Dalla regia mi dicono che esiste gente che riesce a non dimenticarsi i pannolini, la crema, il ciuccio e il cappellino. Si vocifera di persone che non debbono tornare dieci volte a casa prima di partire, ufficialmente.
Non so cosa dire, per me è tipo una roba parificabile alla leggenda di Loch Ness