Storie di parodia quotidiana

Play!

Ahh…. I tastini sotto le dita, finalmente.

Approfitto di questi trenta minuti di tinta home made per cancellare l’effetto brizzolato che tanto dona a George Clooney ma non molto a me, per scrivere finalmente un po’.

Oggi ero in cucina ed ho avvicinato mia figlia parlando con il tono sacrale di Maestro Shifu, l’allenatore di Kung Fu Panda: <Lea, avvicinati, che facciamo un lievitato>.
<Ok> ha risposto lei, facendo ondeggiare i codini ai lati della testa.
<La nobile arte del lievitato richiede una cosa molto importante, figlia mia…>
<Cosa?>
L’ho guardata da sotto in su: <La PAZIENZA.> ho dichiarato annuendo profondamente, a occhi chiusi.

In quella, una musichetta ritmica e allegra, ha spezzato il silenzio solenne nel quale la madre ( quella impostora mani di burro che finge di essere misurata in cucina) , tentava di passare insegnamenti culinari variegati di lezioni di vita.

<Leeeaaaa> ha urlato suo padre dal salotto, un grido barbaro da Unno sul campo di battaglia <VIENIII che ti insegno a giocare ALLA PLAYSTATION!>.

Giocare con i bambini.

Giocare con i bambini è una delle cose più complicate del mondo, almeno per me.
Fatemi leggere, fare puzzle, colorare Elsa che plasma l’Annapurna cantando a cappella, o decodificare messaggi scritti da mia figlia in lingua sumera , ma giocare…. giocare è un’altra cosa. Un’attività complicatissima.

Per esempio: giocare alle Barbie è difficilissimo. Mia figlia, qualunque cosa esse stiano facendo, così, di punto in bianco, le deve mettere a dormire. Io sto infilando a Barbie Unicorno un paio di zattere su minigonna vertiginosa per andare al ballo delle sirene, ed ecco che quella si mette a sbraitare che “E’ ora di dormire, MAMMA, tutte a nanna!> .
<Ma perché? Non avevamo un ballo?>
<Ho detto che è ora della nanna.> sillaba lei, perentoria.
E in men che non si dica, appena appoggiata la schiena di plastica sul letto, ecco che <CHICCHIRICHIIII!!!!> il gallo canta, tutte sveglie.

E’ tutto così sconclusionato.
E’ tutto così, così…fantasioso.
E’ tutto così veloce e lentissimo.

E dalle Barbie si passa alla gita in montagna scalando i gradini per andare al piano di sopra, e poi il bambolotto ha fame e poi ha sonno e subito dopo va all’asilo e io non sono più la mamma ma sono la sorella e poi la maestra e poi non lo sono più, tutto in un attimo, e sono la figlia. Un’ora di gioco e mi sento una figura allegorica, un mezzo supremo per spiegare qualcosa di più alto…per dire, un’ora di gioco e non capisco più nemmeno chi sono. Sono una cosplayer di madre, di sorella, di cugina! Ho male alle ginocchia, ho finito le battute.

Mia figlia, invece, andrebbe avanti a giocare per ore.

E anche quando vorrei svararmi sul divano a scorrere Instagram sintonizzando il cervello sulla frequenza celebrale del ficus in salotto, perché credo in tutta onestà di aver ottemperato fino in fondo ai miei doveri ludici di madre, ecco che lei propone di giocare “che tu sei Anna e lei Elsa”, mentre lo Jacopo ( che ha appena cominciato a camminare, e la cui attività preferita è tentare di buttarsi giù dalle scale) fa Olaf. E quel momento viene ogni giorno, che io ricordi, da sempre e avverrà presumibilmente per sempre.

Ma parliamo dell’altro figlio, lo Jacopo, il piccoletto.
Anche lui gioca a tentare di farsi del male, a verificare il grado di resistenza del casco che NON indossa, a prendere le cose e percuoterle, a scoprire come far deflagrare gli oggetti, a misurare ogni centimetro della casa migliaia di volte all’ora, ad arrampicarsi sulle sedie come un lemure nel disperato tentativo di rendere manifesto il suo grado di comunanza con le scimmie, per tutti coloro a cui fosse sfuggito.

E’ difficilissimo giocare con i bambini, a meno che non si sia elastici e molto allenati:perché a noi grandi, manca un pezzo.

Abbiamo perso un pezzo.

Il pezzo magico di cui era tessuta la nostra vita, quando eravamo piccini.

Quella forza inesauribile che si legava con la fantasia, che si issava sulle forti braccia del tutto che diventava possibile, della sicurezza grandissima che tu potessi essere e diventare in un secondo qualunque cosa desiderassi essere.

Allora per quanto sia faticoso, io voglio provarci, grazie ai miei figli, a riacchiappare quella cosa là, quella bellissima convinzione che tutto possa realizzarsi, che con il sorriso stampato in faccia si possa raggiungere ogni vetta, di qualunque cosa essa sia fatta.

Insegnate anche a me a giocare alla Play station, fatemi fare Sven, fatemi vestire di lustrini per andare a dormire, sussurratemi un segreto non segreto all’orecchio, saltiamo da un cuscino all’altro per non cascare nella lava finché mi reggono le rotule,arrostiamo marshmallow nel camino e per una volta dimentichiamoci di lavare i denti, facciamo che io sono chi non pensavo nemmeno lontanamente di diventare, fatemi essere la mamma di un orango impazzito e la sorella di un orso che ha un armadio come casa, perché la verità, in fondo, è che io i lievitati non li so assolutamente fare.