Ci sono delle parole che io, a mia figlia, non ho mica insegnato.
Prima fra tutte “Parco”, (PACCO! cit) : perciò dunque, sono arrivata alla conclusione che “parco” sia un concetto istintivo, intrinseco e automatico, proprio degli infanti.
Un richiamo ancestrale,primigenio e primordiale dei più piccoli.
Per mia figlia, a livello topografico, il paese dove viviamo è così strutturato: casa dove stare prima e dopo essere andati al parco, strada per andare al parco e PARCO.
L’estensione teorica del piccolo parco del paese, per lei, è pari a quella di Central Park, A New York.
Se transitiamo davanti al cancello che delimita il parco, accostato, la sera, quella s’immedesima nel “carcerato che passa la tazza d’alluminio sulle sbarre di ferro per richiamare miseramente l’attenzione” (usando alternativamente le mani o un gioco, al posto della tazza, ovviamente) ripetendo “chiuso” in maniera costernata e anche un pochino incredula.
“Amore, il parco fa la nanna” dice papà Claudio dolcemente.
Quella lo guarda dubbiosa, poi ripete “nanna” scuotendo la testa, come un pensionato che riflette sulle opinabili vicende politiche o l’andamento fiacco degli operai impegnati nei lavori in corso sotto casa.
“Appena imparo a scrivere, faccio un reclamo espresso al sindaco, per sta cosa del cancello chiuso” decide intimamente la piccola, riprendendo ad incedere come Jack Sparrow quella volta che aveva esagerato scelleratamente col rhum.
Pochi giorni fa è andata in visibilio, quando ha scoperto invece che l’ingesso posteriore rimane aperto, e toccava letteralmente il cielo con un dito ondeggiando felice sull’altalena, nel parco vuoto all’imbrunire, come un piccolo Neil Armstrong immerso nelle stelle, intento ad esplorare l’universo.
Poi si è stancata e ha detto “BATTA”, impostando il suo broncio predefinito, marchio di fabbrica di papà Claudio.
Il parco è un luogo magico per mia figlia: affonda le mani nella ghiaia e nella sabbia, s’arrampica come un ragno dappertutto, e, conseguentemente, come uno scoiattolo volante tenta di gettarsi giù dalla meta raggiunta.
Seleziona accuratamente le giostre dai tre anni in su e snobba quelle per i piccoletti come lei (e soprattutto ignora me, che urlo “NO” ergendomi tipo Nettuno dalle acque, liquidandomi con uno sguardo di sufficienza).
Con occhi curiosi e vocalizzi ammaliati segue le evoluzioni dei più grandi e con scatti repentini e strategici da Navy Seals si guadagna una paletta incustodita sull’erba.
Quando andiamo via saluta il parco come fosse un fidanzato che parte per la guerra.
Il parco è un luogo magico anche per me: l’altro giorno ho fatto un giro sullo scivolo, dopo tanti anni,e questo non si è sfondato.
Neanche un po’.
Più magico di così.