Storie di parodia quotidiana

IL DISORDINE COME STILE DI VITA

Per quanto possa sembrare strano ( almeno a me) il motivo per la quale io e il buon Claudio litighiamo peggio di Agamennone, Menelao e Paride è, udite udite, il disordine.
E’ proprio quest’ultimo infatti, la“nostra Elena”.
Io ho soprannominato teneramente lui “colf&badanti”, mentre la mia pesante nomea in casa è quella di “queen of disorder”: dagli appellativi si può facilmente comprendere chi sia il guelfo e chi il ghibellino.
Lui ha un pensiero binario sull’assetto della casa: o è bianco o nero, cioè o è in ordine o in disordine. Io invece ci vedo un sacco di sfumature, fatte di “questo lo appoggio qui” e “sono stanca morta” e”quello lo ritiro dopo”.
Non ho mai veramente pensato che la mia incapacità di mantenere in ordine qualcosa ovvero la mia estrema dote di determinare il caos potesse essere veramente causa di attriti con qualcuno.
Certo, avrei potuto incominciare a sospettarlo già quando ai tempi, mia mamma scaraventava con un urlo barbaro in mezzo alla mia stanza tutto il contenuto del mio armadio, dove infilavo a forza ciò che in camera era fuori posto, così che ad un rapido colpo d’occhio tutto sembrasse sistemato a puntino come da raccomandazioni: inavvertitamente però, ecco che lei apriva un’anta ingenuamente, magari per appendere una gruccia e una slavina di abiti mista a libri e congiunta a oggetti non meglio identificati la travolgeva trasformandola in una donna furente. Procedeva allora svuotando a due mani il contenuto del mobile, per esporre le mie vergogne al pubblico ludibrio e poco ci mancava che mi facesse appuntare una bella lettera scarlatta sul bavero, con una biasimevole “D” di disordinata.
Oggi faccio più o meno la stessa cosa, solo che la situazione è peggiorata, considerando che mi devo occupare in prima persona della gestione di una casa.
Di un marito. Una figlia. Un cane.
Da qui interminabili lamentele da parte del mio ordinatissimo coniuge, il quale, scuotendo la testa davanti alla lavastoviglie stipata a caso come la metro all’ora di punta o massaggiandosi pensierosamente il mento al cospetto del letto sfatto o magari scrutando con disapprovazione le calze spaiate nel suo cassetto, non riesce a trovare un disperato perché alla mia irriducibile vocazione al disordine.
Da tali querimonie ecco nascere le discussioni, le tensioni, le incomprensioni.
Quindi è vero e ufficiale: il disordine è un mio difetto.
Detto questo, ecco che l’altro giorno, mentre il mio sguardo desolato vagava su uno spettacolo apocalittico costituito dal tappeto dei giochi dove pareva essere detonata una fabbrica di cubi di plastica e il bancone, il tavolo e la cucina tragicamente affollati, che nemmeno in un pub il sabato sera, la mia attenzione è stata catturata dalla tivù, dove un’anteprima su Netflix mostrava la serie su una piccola, sorridente donnina con la frangetta e i capelli neri lucidissimi, chiamata Marie Kondo, che per chi non la conoscesse è un’esperta mondiale in tema di sistemazione di tragici individui gravati dal frustante orpello rappresentato dall’incapacità di tenere le cose al loro posto.
Bom,
viste le prime due puntate della serie, dove la dolcissima Marie insegna a sistemare delle dimore così disperatamente in disordine che gli accumulatori seriali sembrano gente da copertina di Vogue Living in confronto, solo con il suo trascinante sorriso, i modi delicati e cortesi tipici dei giapponesi costellati dalle piccole buffe confessioni spiritose del fatto che anche lei in un angolo del garage capita a volte di avere uno scatolone fuori posto o riguardo al fatto che anche alle sue irresistibili e deliziose figlie talvolta capiti di non avere tanta voglia di piegare in mille impalpabili pieghe i loro vestiti ed ecco che IMMEDIATAMENTE a me viene voglia di svuotare la casa, fare un grosso mucchio di quanto raccattato, buttare l’ottanta per cento delle cose ed il resto piegarlo un milione di volte come un origamo e ficcarlo in piccolissime scatole in ordinatissimi armadi di legno bianco.
Parto allora dal fasciatoio di mia figlia, dove in soli tre cassetti ( dato che la nostra casa è grossa come una scatola di fiammiferi), ho concentrato l’intero guardaroba di una piccola fortunata Paris Hilton e mi metto a piegare ogni cosa in piccoli rettangoli, seguendo pedissequamente il metodo, sistemandoli poi in posizione verticale nei cassetti.
Nel bel mezzo di questo vorticoso trip di riordino, con il buon Claudio tutto galvanizzato dalla novità e nostra figlia alle mie spalle intenta a sfilare ogni indumento da me ritirato dal cassetto per gettarselo ( forse a mo’ di gesto benaugurale o forse solo per esercitarsi nel ruolo di piccolo Pixie dispettoso cui credo si stia recentemente ispirando) dietro alle spalle non appena mi coglie girata, ecco che vengo sorpresa da un’illuminazione: sarà mica la volta buona che io possa davvero ambire a divenire una coscienziosa donna di casa?
Aprirò magari un profilo Istagram luminosissimo e ordinatissimo, con tutte quelle meravigliose foto d’interni lindi e dal design minimal e fresco?
O resterò la regina del ciarpame, stagnante nello scompiglio e nella disorganizzazione, nostra signora del caos e delle cose smarrite da me stessa ma per cui accuserò qualcun altro di averle nascose dolosamente per farmi impazzire, sotto montagne di oggetti inutili accatastati da null’altro se non da me, me stessa medesima?
Vedremo.