Growing together Storie di parodia quotidiana

Adesso ci sei tu e io ti insegno cose

Lo Jacopo ora si muove con una certa agilità.

Possiamo dire che possa essere definito, a tutti gli effetti, un giovane esemplare di anguilla salmonata con la smania di tramutarsi in un gibbone, o alternativamente, in un macaco.

Le calorie bruciate per un cambio pannolino, body e tutina, o anche semplicemente per rincorrerlo mentre da “l’homessoquaeadessostalaggiùinfondo” corrispondono a quelle consumante nel corso di quattro ore passate a fare Crossfit, mentre le tecniche di difesa apprese, allo scopo di non essere colpiti fatalmente da un piedino o da un piccolo pugno sferrato a caso, durante un disperato tentativo di divincolarsi per rimanere nudo come naturista boehmien, sono molto simili a quelle che si apprenderebbero ad una lezione di Krav Maga.

Per fortuna io, ho la mia piccola aiutante quasi quattrenne che come una guardia svizzera, un bodyguard, un buttafuori con le spalle quadrate fuori dalla disco, veglia sul fratello.

<JACOPO!> tuona mentre il piccolo tenta di lanciarsi dal lettone al lettino <TU, DI QUI, NON PUOI PASSAREEEEE!> e si staglia in tutto Il suo metro d’altezza, come Gandalf il Grigio che affronta Balrog, con tanto di capelli al vento, lingue di fuoco che dardeggiano alle sue spalle e tutta la compagnia dell’anello (io e suo padre) che guardiamo allarmati la scena.

Lea è anche dispensatrice di grandi lezioni di vita, al suo fratellino.

Mette una mano davanti alla bocca e sussurra: <SAI, Jacopo, io sono grande, so leccare il gelato tutto intorno, non mi sporco mica la maglia. Ma tu c’hai solo quei denti lì. Va bè. – fa spallucce – Sai che se i maschi sembra che comandano, comandano per finta, sono le femmine che comandano per davvero, me l’ha detto il mio nonno. E tu sei un maschio> conclude con sguardo eloquente.
Lui la guarda con gli occhi a palla, con la sua espressione più acuta, mentre un filo di bava gli cola dalla bocca.

Lea sa prenderlo in braccio, dice.

“Il prenderlo in braccio” è uno spettacolo inquietante al limite fra la danza tribale, l’arte marziale e l’incontro fortuito tra uno scimpanzé ubriaco e uno storione beluga: lei lo solleva dalle braccia come un sacco di patate, lui si divincola, lei lo molla a tradimento tipo mossa di Rey Mysterio, mentre l’altro, piombato sul pavimento come un gatto di marmo, solleva la testa a mo’ di tartaruga, per poi esplodere in una sguaiata risata a quattro denti.

Adesso, in macchina, poi, hanno i seggiolini vicini.
Per capire se suo fratello sta dormendo, Lea s’allunga un po’ e gli tasta un occhio: spesso infatti lui s’appisola al suono del motore come la gallina di Giucas Casella.

<Dorme mamma> mi comunica solennemente. <abbassa la musica. Mica siamo in spiaggia> aggiunge guardandomi nello specchietto come la rettrice di un collegio per signorine.

Soffoco una risatina e abbasso la musica.

Gli schiaccia ancora l’occhio, per controllare che dorma ancora, poi il naso solo per il puro piacere di pigiarlo, a questo punto gli afferra una mano, che gli scappa, allora ci riprova, gli dà un buffetto sulle dita e sussurra: <dormi fratellino, sono io qua>.

Amare un altro piccolo è proteggerlo, insegnargli ciò che a nostra volta abbiamo saggiamente imparato, sollevarlo e anche lasciarlo andare, custodirlo nella veglia e serbarlo nel sonno.

Passo dopo passo, divento sorella e tu mio fratello.