Ho raccolto abbastanza materiale per poter elaborare un pensiero.
“Abbastanza”, in questo particolare caso, sta per “ancora non assolutamente completo”, ma avendoci ragionato per otto mesi abbondanti, direi che per ora, quanto esaminato, è sufficiente per esporre una valutazione sulla mia
SECONDA GRAVIDANZA.
Quando ho scoperto di essere rimasta incinta per la seconda volta, ho, a livello figurativo, indossato con ostentata presunzione un paio di occhialoni a goccia come faceva Frank Poncharello in “Chips”prima di salire sulla sua moto con indiscutibile fare da ganzo.
La seconda gravidanza? “Una passeggiata, ormai sono rodata.”
Questo ho pensato.
“So tutto, c’ho tutto, non c’è problema”.
Niente eccessive seghe mentali sul cibo, scudo di Capitan America appeso al braccio contro suggerimenti e commenti altrui, imperante nonchalance, autoincensamento per non essere aumentata nemmeno di un grammo pur non avendo smesso mai di ingurgiatare cibo come un’anatra all’ingrasso.
E con questo, ho descritto le prime sei-sette settimane d’attesa, scarse.
Fin da subito, come sempre accade, la troppa sicurezza è stata ricacciata da dove era venuta con un bello schiaffone dalla realtà.
E così sono cominciate le nausee, poi il mal di schiena, il tutto con una bambina piccoletta da accudire.
“Avete già detto alla Lea che arriverà un fratellino o una sorellina?”
“No, vogliamo farlo in modo graduale, così che possa abituarsi serenamente all’idea. Magari non so, prenderemo spunto da qualche libro.”
Quella sera, mia figlia mi ha raggiunto a grandi falcate in cucina.
-Mamma.-
-Sì?-
-Il papà ha detto che hai un bambino nella pancia. Voglio Vedello.- ha affermato perentoriamente.
-Cla-Claudio?- ho balbettato.
-Sì?- ha chiesto mio marito entrando in cucina.
-La Lea mi ha appena chiesto d- di farle vedere il bambino nella pancia.-
-Ah, sì, quello. Lea, non si può vedere, quello esce solo quando è pronto. Adesso è troppo piccolo. A un certo punto sembrerà che la mamma stia per esplodere, allora potrà uscire.-
Non era certo come avevo immaginato l’annuncio a nostra figlia, ma la nostra famiglia funziona così, ed è bella anche per questo.
Lea mi ha guardata dubbiosa.
Sicuramente ha pensato che io l’avessi mangiato, il fratellino.
Lo step successivo, è stato quello in cui la gente ha abbandonato gli indugi e ha iniziato a chiedermi se fossi incinta sfidando temerariamente il rischio che gli rispondessi che era solo boffa e in cui ufficialmente è partita la grande scommessa sul sesso del nascituro. In tal contesto è stata esposta senza grandi cerimonie la più recondita delle segrete smanie di ogni interlocutore, ovvero che io producessi un essere di sesso contrario a quello che avevo originato precedententemente.
E allora vai di pendoli e analisi della forma della pancia, valutazione critica della quantità di brufoli, peli e inestetismi della pelle che avrebbero segnalato inequivocabilemente “di cosa io fossi in attesa”.
“Dai, dai che fai il maschio!” dicevano incitandomi con le bandierine tipo pubblico al Tour de France al passaggio del loro ciclista del cuore.
E se poi risulta essere maschio per davvero: “ oh, la piccola avrebbe preferito una bambina vero? E’ così bello avere una sorella. MA È UN MASCHIO”.
“Jamais une joie”, per dirlo in francese.
Per carità, ci sono anche quelli che ti dicono “Brava, brava”, come quegli anziani che si complimentavano con te quando gli dicevi l’età, come se tu avessi fatto materialmente qualcosa per meritati di aver dodici anni all’anagrafe.
Quindi, nausea fino al quinto mese e mal di schiena tutto il sesto.
Settimo e ottavo mese, inserimento nella categoria “obesi” e vari ed eventuali disturbi invalidanti alle parti intime.
C’è stato anche chi si è burlato ben poco celatamente di me, consigliandomi della Valeriana, dato che parevo un po’ agitata, con “tutte le mie domande su un parto in periodo di Lockdown e Covid”.
“Merci, merci, trop bon!” sempre per dirlo in francese. E per non usare un francesismo.
Fine ottavo mese, inzio nono.
La spocchia è ormai un lontano ricordo.
Bevo acqua come un cammello, anche se vorrei solo farmi un’endovena di Negroni Sbagliato al pollo fritto, mentre mia figlia si infila pupazzi sotto la maglia e cammina claudicando dicendo: “uh, che mal di schiena, uh che fatica sto fratellino!”.
Bell’immagine le ho regalato della maternità, mi faccio tanti complimenti.
Io che mi immaginavo quelle cose da post patinato su Instagram, carezze al pancione e un piccolo orecchio appoggiato al ventre per cogliere il più piccolo, dolcissimo rumore.
Poi…Cos’altro…
Tiro panciate a tutto, quando mi chino non so mai se riuscirò a tornare di nuovo in posizione eretta.
Per alzarmi dal letto avrei necessità di un paranco e da sdraiata m’affosso nel materasso come fossi sprofondata irreversibilmente nelle sabbie mobili.
Una mattina ho proceduto a stendere tutti i body: mentre li appuntavo ai fili sul balcone, li osservavo pensando che non mi parevano per niente piccoli.
PER NIENTE.
CAPITO?
PER NIENTE!
Una volta finita l’opera, il vicino ha acceso il camino.
Il vento tirava il fumo verso la roba stesa.
Avremo un bambino al sentore di affumicato, tipo salmone norvegese.
Comunque, sto scrivendo tutto questo mentre la tinta all’Hennè mi cola sulla schiena.
Devo tenerla in posa due ore, con la testa impacchettata in una di quelle cuffie per fare la doccia.
La Lea mi ha appena chiesto “perchè ho su quel cappello”.
La sua espressione era molto critica.
So che domani i miei capelli sapranno di fieno, anche se saranno assai nutriti.
Spero solo che tutto ciò sia valso a coprire i capelli bianchi, dato che ogni giorno di più la mia capigliatura, in quanto a nuance, somiglia a quella di Igino Massari.
-Cosa ti cola sulla faccia mamma? – ha chiesto ancora Lea transitandomi davanti, facendo le bolle di sapone.
Oggi le abbiamo permesso di farle in casa. Non so perchè, oggi è girato così.
– La tinta amore… La tinta. – ho risposto tamponandomi con un fazzoletto.
Il grande giorno si avvicina sempre più, ma io mi sento piccola.
E alla fine, ho scritto questa cosa perchè ho pensato che va bene così, che davanti a una cosa grande bisogna farsi piccoli, perchè troppa sicurezza non ci farebbe apprezzare quell’enorme gioia e quell’incredibile miracolo che deve essere guardato sempre con occhi nuovi, curiosi e anche giustamente un pochino intimoriti; quel miracolo che passa inesorabilmente da enormi fatiche, situazioni paradossali, conversazioni incredibili, dal declino inquivocabile del proprio corpo e che coincide sempre con la fine delle proprie certezze; quel miracolo insomma che si ripete da secoli, che dà inizio a una nuova, incredibile, desideratissima vita umana, per cui faremmo davvero qualsiasi cosa.