Ecco il vero racconto di quattro coraggiosi artisti, che molto fecero per difendere le prerogative legate ai loro diletti.
<Hei! Dico a te! >
<Parli con me? >
<Bè mi sembra abbastanza chiaro… Siamo solo io e te, in questa cella.>
<Allora perché hai detto “dico a te”? >
<Cosa? >
<No, dico, perché hai specificato parlassi direttamente con me, se siamo solo io e te?>
<Cosa sei, una specie di maestro degli enigmi, giocoliere d’indovinelli?>
<No, non direi proprio> risponde quello, sorridendo.
<E chi sei, allora?>
<Sono un pittore, Beato Valente sono il mio nome e cognome.>
<Beato Valente… Che strano nome…>
<È quello che mi hanno dato. Me lo son trovato.>
<Pittore? Che ci fa un pittore in carcere come un ladro?>
<Che ne sai che io non sia un pittore con la mano lunga e la passione del ratto?>
<Lo sei?>
<No, non lo sono.>
<Allora, che hai fatto?>
<Oltraggio, oltraggio gravissimo alla regina!>
<Ma smettila. E che avrebbe fatto uno sconosciuto pittore per meritare una simile punizione?>
<L’ho dipinta, in effetti, su commissione.>
<Ah. Non è venuto bene, il quadro in questione?>
<Benissimo, caro signore!>
<E quindi? Perché questo castigo?>
<Le ho fatto un ritratto tanto realistico da parer vivo.>
<È un male?>
<Sì, se ciò che si è davvero lo si vuole celare.>
<Proprio non capisco, Sig. Beato, disegnare realisticamente da quando è reato?>
<Non è il ben disegnare… piuttosto rappresentare fedelmente ciò che stavo a guardare… Ma non il bel viso e il ricco vestito, ma oltre, in fondo, per esser preciso…e v’assicuro… Ciò che ho visto, non vantava eguale prestigio.>
<Hai disegnato l’animo della sovrana, fammi capire?>
<Esatto, è quello che ho fatto! Con tratti di tutto rispetto. Non è mancato il rosso, per l’egocentrismo, un tocco di verde per l’arroganza, infine il giallo, per la lingua lunga, senza creanza.>
<Ma… Perché avresti fatto una cosa tale?>
<Cosa intendi, mi puoi spiegare?>
<Bè, è sottinteso che la sovrana va compiaciuta, non contrariata! Non v’è dubbio, te la sei proprio cercata.>
<Hai ragione. Ma la mano è andata da sola. Ci ho davvero provato. Ma quel che mi ha dato, nel quadro poi, s’è rivelato.>
<E ora? Sei soddisfatto? Per un quadro te ne stai in prigione!>
<Già! Per la mia arte, caro signore.>
<Fatti furbo la prossima volta!>
<La prossima, invece, farò lo stesso.>
<Allora sei fesso, scusa l’eccesso! >
<Sono un pittore, non un bel burattino! Preferisco star in prigione che far da zerbino!>

La cosa da tenere a mente è che la storia va ben oltre Beato Valente.
Quello infatti è terzo di quattro fratelli, Giovanni Grande, lo scrittore,
Gioacchino lo schivo, il cantautore,
infine Sogno il mago, un po’ per svago e un po’ per vocazione, di pozioni magiche il creatore, per registrata professione.
Quattro figli, in effetti, all’arte dedicati,
ma ahimè, non molto fortunati.
Beato Valente sta in prigione, per aver tenuto fede alla sua missione;
il più vecchio, lo scrittore, non riesce ad ingraziarsi un editore,
il piccoletto, poveretto,
sempre dietro a un nuovo sonetto: intona, canta e compone, ma s’imbarazza anche sol dinnanzi ad un unico spettatore.
Il mago, invece, per non esagerare, nemmeno un decotto sa far spiccare.
<Gioacchino, Sogno, state ad ascoltare! Un’idea, brillante, ingegnosa, vi devo illustrare!>
<Giovanni che ti sei inventato?> risponde Sogno il mago, che come indovino è ovviamente negato.
Assume uno sguardo solenne, quello che ha appena parlato: <Facciamo qualcosa per liberare Beato, aiutiamolo a uscire dal guaio in cui s’è cacciato!>
Quello più piccolo e timoroso, ingoia un groppone assai rumoroso.
<Che hai mente Giovanni? > sussurra Gioacchino, mentre quello estrae lesto un foglietto dal taschino: <cos’è quel pezzo di carta? Una storia? Un piano? Una cartina?>
<Un ballo! Organizzato dalla regina.>

<Giovanni, è incredibile! La regina in persona ti ha invitato?> chiede Gioacchino, visibilmente stupito.
<Ma che dici Gioacchino! Questo? L’ho trovato… A terra, tutto accartocciato. Dev’esser caduto, a qualche nobildonna, o magari a un signorotto sprovveduto> ribatte quello, lo sguardo furbo e un poco socchiuso.
<Quindi? Che ci andiamo a fare?> interviene Sogno, con tanto d’occhi, senza capire.
<Ascoltate! Il piano è questo: ci candidiamo come artisti, inganniamo la regina, ci esibiamo magistralmente per poi svelare davanti a tutti le sue orrende malefatte.> Giovanni sembra un po’ allucinato mentre Gioacchino pare molto impressionato: <Ma Giovanni, come ci proponiamo? Non riesco a capire come possiamo anche solo considerare di poter partecipare…>
<Che credi, fratello, mi sono informato! M’hai preso per uno sprovveduto? La regina ama ostentare: non solo, adora aver persone che pubblicamente tessano le sue glorie. Per questo, ha aperto dei provini: cerca pagliacci, comici, cantanti, attori, figuranti e ballerini. Me l’han detto alla locanda, parlando del ballo, proprio di quello, con il giovane che sta dietro al banco.>
<E’ rischioso, avventato, un piano poco ponderato… pensi davvero che Beato sarà liberato? O Il suo nome riabilitato?> chiede Gioacchino, il tono travagliato.
<Dobbiamo tentare> sussurra Sogno, destando nei fratelli grande stupore
<la sua libertà o almeno il riscatto, dobbiamo guadagnare!>

Che ci crediate o no, quel trio improbabile e poco abbozzato, davanti alla regina, pochi giorni dopo, s’è davvero trovato.
<Che sapete fare, dite!> tuona quella dal trono, con il suo sgradevole e arrogante tono.
<Sua incantevole maestà, ci presentiamo: siamo tre fratelli, con una passione, l’arte in effetti, per renderle onore.> esordisce Giovanni pomposamente.
<A chi rendere onore, non ho capito niente!> ribatte immediatamente, l’antipatica reggente.
<Ma a lei, incantevole visione! Son anni, che aspettiamo quest’occasione. Quella di celebrarla, ammaliarla, e con le nostre capacità, intrattenerla.> interviene Gioacchino, mellifluamente.
<Ma che fate, praticamente?>
<Scriviamo, cantiamo e creiamo un’avvincente illusione: il tutto ispirati dalla nostra, per voi, imperitura devozione.> conclude Sogno facendo un inchino, dal suo inedito coraggio stupito per primo.
La regina pare dubbiosa, aggrotta la fronte, pronta a dire qualcosa.
<Recentemente ho avuto brutte esperienze. Un pittore, maldestro e poco educato, purtroppo a corte m’è capitato. Devo star attenta a questi artisti sedicenti. Come Valente qualcosa s’è presentato. Lo conoscete? Mediocre e poco portato… un quadro orribile mi ha propinato! Non voglio altre brutte sorprese, lo dico e lo ripeto. Come vi chiamate di cognome, che mi deve esser sfuggito?> chiede quella, puntando il dito.
Il quadro di Beato, in tutto questo, stava al muro inchiodato: a destra del trono, con orgoglio mostrato.
“Come dice? maldestro, mediocre e poco portato…” pensa Giovanni dall’incoerenza irritato.
<Valente? Non mi dice proprio niente> ribatte Gioacchino guardando i fratelli, che confermano scrollando le spalle, prontamente.
< Zuccone, è il nostro cognome > mente il più piccolo, inventandosi un nome <figli di madre santa e, ahimè, padre guascone, un vero imbroglione…un tale tutto fumo e niente arrosto, un tipo assente quanto losco>.
La regina lo guarda con sguardo indifferente, senza dire assolutamente niente.
<Ma la prego regina, ci faccia provare! La fiducia, in tutti gli artisti, le faremo ritrovare.>
Quella muove una mano, come segno d’accordo, e se prova entusiasmo lo tiene ben nascosto.
Gioacchino, Giovanni e Sogno attuano il piano: un siparietto preparato a puntino, da provetto cortigiano lecchino.
La regina non sa resistere, la presunzione la fa immantinente capitolare: <Voi tre, mi dovete proprio ringraziare! Avete guadagnato un ingaggio prezioso! Domani sera al ballo, vi esibirete, davanti al mio pubblico prestigioso.> dice uscendo poi dalla stanza, voltando loro le spalle con supponenza e l’imperitura arroganza.

Al castello non c’era mai stata tanta folla: fra gli invitati, buffoni di corte e ricchi signori impomatati.
Giovanni ripassa il suo manoscritto, Gioacchino prepara la gola ai sonetti e Sogno armeggia con le sue ampolle, per crear speciali effetti.
Dopo uno smielato poeta viene il loro turno,
Gioacchino solfeggia un sottofondo e Sogno crea un fumo color blu profondo.
Giovanni sbuca dalla nebbia misteriosamente, e dopo aver fatto un profondo inchino alla regina, inizia animatamente a interpretare la sua manfrina.
< Ode a te, nostra regina!> esordisce Giovanni, mentre quella sorride leziosa, pronta a godere di lodi e complimenti in prosa.
<La nostra incantevole sovrana, voi tutti lo sapete, è immensa, ricca, assai potente. La sua grandezza però, badate bene, non è solo apparente; ella è fine, avveduta, è molto sapiente: a lei infatti, non sfugge niente.>
Lo scrittore fa una piccola pausa e schiarisce la gola, mentre Sogno lancia in aria una polvere viola.
Gioacchino intanto non smette d’ intonare e Giovanni ossequioso riprende a parlare:
< …mi correggo: che non le sfugga niente non è vero, esattamente.>
Nella sala, si diffonde il brusio interrogativo della gente.
< quel che le sfugge, chiaramente, sono tutti quei grazie che ogni uomo e donna vorrebbe, ma non può, dirle direttamente. Allora faccio io, immediatamente, da amplificatore, fiero portavoce di cotanta ammirazione>
Il pubblico s’era quietato, dalla continuazione rassicurato.
Quello esprime mille benedizioni, per poi giungere, finalmente, alle conclusioni.
<Non mi dilungo ancora a celebrarla, anche se potrei star giorni ad adularla: mi conceda ancora solo una cosa, del popolo meravigliosa sposa.
Grazie, grande sovrana, per aver nostro fratello imprigionato, solo per aver fatto per lei, gratuitamente, uno splendido quadro>.
La regina assume uno sguardo confuso.
<Valente? Non le dice niente? Ma sì, il giovane pittore che ha rinchiuso ingiustamente. Lei gli ha commissionato uno dipinto e lui solerte l’ha tinto. Dovete sapere però, che il ritratto che egli ha magistralmente fatto, della sovrana ha mostrato tutto, il suo bello ed anche il suo brutto. La boriosa allora s’è infuriata, perché odia esser contrariata ed ancor di più, smascherata. Proprio lei… > dice rivolgendosi alla reggente, direttamente < che non sa far nulla, tranne trattar male e sparlar della gente! In particolare, quella odia gli artisti, quelli che sembran dei masochisti, perché non la adulano e rispettano, quelli invero che non riesce a piegare, perché a leccarle i regali piedi non ci vogliono stare.
Sputa nel piatto dove ha mangiato, ma il bel quadro maledetto sul trono ha attaccato!
Grazie regina, grazie davvero, la sua burbanza ci ha permesso di insultarla con zelo!>
La regina, paonazza, lancia un urlo che gela la stanza.
<Furfanti, bugiardi, impostori! Sciocchi saltimbanco, vomitevoli piaggiatori! Guardie, prendeteli, che siano arrestati!> ruggisce l’arpia con occhi infuocati.

<Cos’è questo trambusto?> chiede Beato.
Urla, strepiti, in avvicinamento.
<Zitti sciocchi, pezzenti, furfanti!> urlan le guardie mostrando le armi.
<Lasciami malefico sgherro, montagna ingombrante, stupido, stupido boia arrogante!>
<Conosco questa voce> urla il pittore, mentre tre uomini vengono buttati nella cella di fronte, con grande rumore.
< Sogno? Gioacchino? Giovanni?> Beato è visibilmente scioccato < sono i miei fratelli, quelli!>
<Beato! Che piacere vederti> esclama Giovanni, con un sorriso a trentadue denti.
<Giovanni che ridi? E che dici, mi puoi spiegare? Per vedermi un momento, del giorno di visite potevi approfittare…>
Gioacchino, anche lui, ride, nervosamente, colpa dell’adrenalina, sicuramente.
Sogno prende parola, e con grande fierezza e contegno spiega al fratello l’intero disegno.
<Matti!> interviene il compagno di cella di Beato, che fino ad allora s’era trattenuto.
<Come mai avete potuto pensare che un piano del genere potesse funzionare?>
<Certo, era un piano bislacco e strampalato, ma per noi, in parte, ha funzionato. Beato non è stato liberato, ma il suo nome, certamente riscattato e il sopruso della regina a tutti svelato>.
Beato è commosso, visibilmente.
<Sono orgoglioso, veramente. Quella strega può levarci la libertà, ma non la nostra dignità. Meglio in carcere, chiaramente, anche portando la nomea di pazzo, che a quella megera far da pupazzo.>
<Perché scuoti il capo?>
<Ripeto, siete matti, caro Beato.>
Quello sta zitto, impegnato a pensare, mentre i fratelli, di dirimpetto, stanno ad ascoltare.
<Ma tu, che hai fatto? Perché stai qui dentro? Non l’hai mai detto> chiede Beato al compagno, mestamente seduto su uno squallido letto.
<Ma, inezie, quisquiglie, piccole cose; in conclusione, niente di serio o per valida motivazione.
A dirla tutta, ancora, il perché non me lo spiego> risponde quello, facendo il vago.
<Compare, non ho capito…Qual è il tuo impiego?>
<Son sovrintendente di una compagnia itinerante. Un poco di contabilità e prevalentemente organizzazione, alla Giosuè Occhiello, per precisone.>
<Veramente? Sei un suo dipendente?> domanda ammirato un Valente <Conosci davvero il grande drammaturgo, insegnate teatrante, scenico magistrale, mago illusionista, cantante melodico equilibrista, Giosuè Occhiello il poliedrico artista?>
Quello annuisce, solennemente.
<Quello sono io, veramente.>
Ai fratelli è cascata la bocca, letteralmente.
<Non può essere Occhiello> dice stupito Sogno al fratello.
<Che ci crediate o no, sono io davvero, quello!>
Giovanni si avvicina alle sbarre, incantato: <che hai fatto maestro, realmente, per esser incarcerato?>
<Mhmm…ho dichiarato, pubblicamente, che per quell’orribile capricciosa arrogante reggente, non mi sarei mai esibito, assolutamente. Né io né la compagnia, chiaramente.> spiega Giosuè semplicemente.
<Ma…ma…Sig.Occhiello, con tutto rispetto, mi date del matto, ma il nostro stesso reato, il medesimo fatto, avete compiuto. “Mancata cieca obbedienza alla regina”, perdindirindina!>
<Confermo, Beato, il motivo è lo stesso. Per questo sono così immedesimato e scorato. Voi siete matti, per questo siete al gabbio, e parimenti io, senza alcun dubbio.> Giosuè sospira <non pensavo davvero potesse esistere> alza lo sguardo < tanta gente disposta a resistere.>
I cinque artisti furono condannati per dieci anni: ne scontarono la metà, prima di riacquistare la libertà.
Invero, sfruttarono quella tragica situazione per esercitare la loro vocazione: il famoso maestro Occhiello istruì ogni fratello, finché, per ultimo Beato, ognuno di loro fu liberato.
I fratelli, ora magistralmente preparati, furono invitati ad unirsi alla famosa compagnia e vissero una vita a far ciò che amavano, in completa armonia.
La lezione è questa cari lettori:
mai piegarsi a capricciosi, mantenuti, arroganti, nullafacenti impostori;
coltivar sempre le proprie passioni,
mutando in meravigliosi successi le delusioni.