Mia figlia, per il suo secondo compleanno, ha ricevuto un piccolo passeggino, uno di quelli che si aprono e chiudono come un ombrello, per intenderci.
Da lì, quando usciamo con i cani a fare la passeggiata, lei porta la sua bambola, la Nina, a fare il giretto con noi.
“Pasgino, PASSGINO!” ripete concitatamente prima di uscire.
Prevalentemente, quella durante il tragitto spinge il suo bravo passeggino e canta.
Canta e cantiamo anche noi, anche se non siamo tanto intonati, ma sorridiamo così tanto che comunque, secondo me, siamo belli da ascoltare.
Un po’ va lenta come una lumaca, un po’ si ferma ad osservare come se ne stanno i legnetti appoggiati a terra e un altro po’ temporeggia a salutare i gatti.
Ogni tanto accelera, sbanda sghignazzando e poi si diletta ad utilizzare il passeggino come un ariete da assedio.
Ad un certo punto si ferma, corre dirimpetto la seduta fronte mondo dove la bimba se ne sta un po’ ciondolante e le chiede, con occhio critico e fare spiccio: a quel punto l’aggiusta, le sistema il cappellino e si rimette alla guida del mezzo, soddisfatta.
Comunque.
C’è un pezzo di questa strada che facciamo quotidianamente, in cui l’asfalto del marciapiede è un po’ più scuro, e con l’arrivo dell’autunno si è lastricato di piccole foglie gialle che se ne stanno incollate a terra, ordinatamente distese, come fossero state messe lì apposta: quel punto lì, quel preciso pezzo lì, scuro scuro con le foglie gialle gialle, sembra allora proprio un cielo trapuntato di stelle.
Stare al passo della mia bambina, senza fretta, almeno quando posso, mi regala la preziosa e impagabile opportunità di scorgere meravigliosi, sconfinati, bellissimi cieli stellati anche nei posti più improbabili.
Con sottofondi canori stonati, ma troppo felici.
