Storie di parodia quotidiana

L’estate

L’estate è indiscutibilmente la mia stagione preferita.

Da giugno a settembre, che il tempo lo permetta o meno, me ne vado in giro con i sandali modello San Francesco  e un outfit  prevalentemente scanzonato e poco impegnativo.

Mi piace la tonalità di azzurro che sfuma nel blu all’imbrunire, quando la luce dura fino a tardi.

Adoro il giardino dei miei che brilla, pullulante di lucciole.

E poi, i piedi nel fiume, il caldo, il sole e le attività all’aperto.

La quiete delle passeggiate alla sera.

Le corse a pedi nudi sull’erba verde.

Certo, ci sono anche dei piccoli elementi “critici” legati alla stagione in oggetto.

Tipo:

  1. Per chi come me, ha la fortuna di avere la pelle nuance variabile su tutte le possibili graduazioni di bianco ( dalla A- avorio, passando per C-cosmic latte e non trascurando l’ F-fantasma), con l’aggravante aggiunta di nei e lentiggini in un’unità numerica  che possiamo definire genericamente come illimitata ( unendo i miei nei è possibile identificare il Grande Carro, il Triangolo Australe  e tre enigmatiche figure che le più recenti interpretazioni  sostengono addirittura  possano rievocare i volti di Jefferson, Roosevelt e Lincoln) anche il solo andare in macchina con il braccio fuori con l’eleganza di un camionista ciociaro, può comportare una dolorosa ustione, evitabile solo con il ricorso a creme solari protezione 50, che oltre ad essere vendute al prezzo di mercato del tartufo bianco d’Alba, e vantare la texture  dello strutto, hanno il drammatico  vantaggio di conferire una tonalità di bianco ancor più intensa di quella di partenza.

La soluzione alternativa al panarsi come una scaloppa è l’abbigliamento tipo Lambert Wilson nel film Sahara.

  • L’insofferenza per la leggenda metropolitana “COL CALDO PASSA LA FAME”.

Certo, certo.

MA QUANDDOMMMAI?

Io  ho sempre fame, se possibile anche di più del solito e, m’astengo dal portare direttamente la borsa frigo al lavoro con tutto l’occorrente per un pasto luculliano solo per salvaguardare quel che resta della mia dignità personale.

  • L’inspiegabile mancata corrispondenza fra l’immagine di me in costume e quella di Ana Beatriz Barros, seppur con lo stesso identico, spiccicato capo di vestiario.

Null’altro da dichiarare.

Ma solo perché non è bello scrivere della maniera del tutto deprecabile con la quale usano atteggiarsi le mie ascelle, di questi tempi.