Storie di parodia quotidiana

Guardando la foto con il pancione..

Un anno fa: foto ricordo per immortalare il pancione.
Piedi come lo zampone a Natale,sudorazione riconducibile al pollo ruspante e braccio più grosso della faccia (e non è un effetto fotografico, ahimé).
Desiderio impellente di raggiungere il bagno.

La gravidanza è stata un periodo meraviglioso, per me.

Quando riguardo questa foto è come ascoltare una canzone che mi riporta a ricordi amati, mi pare di percepire ancora il sole sulla pelle e la gioia di quel giorno, quelle sensazioni di serenità e trepidante attesa di quel periodo.

E’ stato un percorso entusiasmante, fin dai primi mesi.

Le prime settimane, mi muovevo come un elefante in una cristalleria, regina indiscussa del vittimismo, padrona della scena, custode della vita che cresceva e quindi, a mio parere, polo inconfutabile di ogni attenzione: avevo paura che qualunque cosa facessi potesse mettere a repentaglio il mio stato interessante e mi faceva innervosire se e quando Claudio mostrasse il minimo indugio e la più piccola riserva nel comportarsi come fosse stato il mio Ambrogio dei Ferrero Rocher (ovvero SEMPRE, il ragazzo è stato ribelle come un cavallo, di fronte alle mie SOLITE BALLE).

Nel mentre, cercavo di tenermi lontano da internet, da quei forum traboccanti di panico e allarmismo, che facevo già egregiamente da sola, con l’ansia e le paranoie.

Seguivo invece con grande trasporto tutte quelle app che, settimana per settimana, illustravano ciò che stava capitanato lì da basso, dato che per quanto mi concentrassi,non sentivo nè vedevo niente di diverso dal solito.

Alcuni mutamenti in realtà, li potevo già percepire: le unghie crescevano che nemmeno Edward Mani di Forbice, e mi pareva di aver guadagnato un po’ di chioma aggiuntiva, io che normalmente in uno sparuto codino faccio su tutta l’acconciatura che mi posso permettere di sfoggiare.

Ogni giorno, tentavo invano di comprendere la misteriosa modalità di calcolo delle settimane e dei mesi di gravidanza, che ancora mi è oscuro e incomprensibile che neanche la successione di Fibonacci.

Ricordo con tenerezza le nausee, che duravano tutto il giorno e che mi tormentavano anche la notte, per contrastare le quali la ginecologa mi suggerì di sgranocchiare “un cracker o qualcosa di similare”, ogni tanto, durante il giorno.
Interpretai il consiglio in maniera estensiva, iniziando ad assumere quantità di carboidrati che nemmeno il più vorace degli statunitensi. Ciucciavo limoni durante la notte e sgranocchiavo snack tutto il giorno, riuscendo così a totalizzare gloriosamente in solo tre mesi, metà del peso consentito per l’intera gravidanza.

Così, fui messa a dieta.

Il mangiare per due è effettivamente una squallida menzogna, per le donne in dolce attesa.

“Amore, ce la faremo a mangiare meno, sano e in modo appropriato” disse Claudio guardandomi teneramente e stringendomi con solidarietà la mano, quando seduta nello studio della dottoressa, avevo ricevuto il primo ammonimento riguardo i chili assunti in quelle prime settimane.

Così, ho guardato mio marito abbuffarsi in solitaria per i restanti mesi di gestazione e a bocca piena senza smettere di masticare chiedermi “che la vuoi una fetta di salame? Ah, già non puoi, scusa, amore”.

La prima volta che abbiamo visto la nostra creatura era un cuoricino palpitante, poi un piccolo fagiolino, e poi un battito veloce che bloccava il fiato in gola.

E poi BOOM! Il profilo di un bambino: un naso, braccia, gambe! Incredibile.

Dato che all’inizio la pancia non c’era,  solo in quei momenti durante l’ecografia, realizzavo di essere in attesa.

Certo, spesso all’esperienza visiva dovevamo aggiungere un bel pò di immaginazione,perchè in quel monitor la maggior parte delle volte non distinguevo proprio un bel niente.

“Ed ecco il femore, va va che bel femore!”

Noi, in risposta, sguardi vacui, annuendo vigorosamente.

All’inizio, eravamo convinti di aspettare un maschietto: io mi aggiravo per casa come l’eroina di una telenovela spagnola, con le mani in grembo e gli occhi sognanti predicendo con solennità di aspettare con certazza un bambino, “che sarà tutto il suo papà”.

“Signora, è una femmina,non c’è dubbio.”

Questa è la frase che ha definitivamente stroncato le mie presunte doti divinatorie.

I mesi passavano e la pancia lievitava.
Data una crescente predisposizione per il meteorismo, all’inizio non riuscivo proprio a distinguere se i movimenti fossero attribuibili alla mia bambina oppure semplicemente al fatto che fossi più gonfia di un pallone aerostatico, ma ad un certo punto non vi furono piú dubbi:quei fendenti ben assestati erano i primi messaggi d’amore della nostra bambina.

Vivevo in costante lotta con la fame, il gonfiore, la stitichezza e la perplessità aggravata dalla consultazione angosciosa e angosciante di pareri su Google su cosa potessi o meno mangiare.

Il parto era un pensiero lontano, un argomento buono per fare solo qualche battuta di rito.

L’estate fu caldissima. Salivo in macchina per andare a casa in pausa pranzo e il volante era a temperatura di fusione; accendevo l’aria condizionata e scendevo nuovamente a trenta gradi, che ancora non so come ho fatto a non beccare una sonora broncopolmonite.

I miei ormoni da quei mesi in poi non sono mai più tornati normali, ogni occasione era (ed è) buona per farmi un bel pianto senza alcun motivo apparente, tranne magari l’aver visto due anziani seduti su una panchina o un gruppetto di scolari urlanti dell’asilo, o la pubblicità del mulino bianco mentre veniva sponsorizzata la proverbiale bontà e veracità del pane in cassetta.

Dall’ottavo mese in poi ho iniziato a incontrare  le “prese male” della gravidanza, coloro le quali, essendoci già passate, per una sorta di nonnismo nei confronti delle #mumtobe, si dilettano in modo malefico a descrivere alle primipare mostruose e raccapriccianti esperienze relative al parto e ad insinuare dubbi sull’eventualità di partorire prima del termine per le più disparate motivazioni.
Queste inquietanti entità, possono essere individuate nelle più svariate ed eterogenee personalità in cui ci si può imbattere ingenuamente tutti i giorni: la cassiera; la sconosciuta dall’altra parte della strada; l’anziana al bar mentre poco decorosamente stai mangiando un croissant alla Nutella.

“Eh,ma che pancia bassa, non ci arrivi mica alla scadenza”.

“Grazie signora, può andare a ritirare la coccarda in comune per la simpatia e magari considerare l’eventualità di diventare infermiera/motivatrice dato il grande tatto dimostrato e l’estrema sensibilità riservatami”, pensavo ogni volta.

Il nono mese l’ho vissuto e condotto fra il divano, il letto e il bagno, in ordine sparso.
Gli abiti premaman che avevo acquistato nel corso della gravidanza  stavano diventando stretti, e al posto delle gambe avevo due baobab africani.

Esteticamente mi sentivo piuttosto svantaggiata e fisicamente assai piombata al pavimento.

Dentro però ero una favola.
Mi sentivo vibrante di vita, desiderosa di scoperta e traboccante di una gioia che non potevo ancora afferrare ma che mi sembrava di riuscire a intuire, percepire e che desideravo con tutta me stessa.

Questa foto mi ricorda quanto sono stata felice ad aspettarti, quanto è stato meraviglioso sformarsi e aumentare raggi e circonferenze, allo scopo di dare la vita a te, piccola punk urlante con l’amore per le ciabatte ed i cavi Usb e la predisposizione a ribellarsi con spregiudicata ostentazione a tutti i divieti🤘.