La prima sfida accanita dall’arrivo di un neonato in casa, consiste nel farlo ridere.
Chi riuscirà ad essere tanto spiritoso, sufficientemente divertente o abbastanza tenace nell’ripetere suoni tipici del Cacatua o gorgheggi da far impallidire un usignolo al solo disperato fine di far abbozzare al proprio piccolo una smorfia che paia appena lontanamente divertita?
“Oddio, oddio, ha sorriso? Era un sorriso quello? No, era solo aria. Non importa amore, riproviamo, senti questa:allora ci sono un carabiniere, un prete e un arbitro che vanno dal panettiere…”
Perché ci mettiamo tanto impegno per ottenere anche solo un accenno di questa particolare espressione?
Perché nulla, nulla è come il sorriso del proprio bambino.
Ogni genitore, solo dopo pochi mesi, ha un campionario illimitato di foto-prove di ogni tipo di sorriso sfoggiato nel tempo dal proprio figlio.
“Ecco allora qui sorriso aperto, qua risata sguaiata, qui letizia da pernacchia reiterata, questa è espressione di gioia per ripetizione causale di rumori gutturali del nonno. Ho dato anche dei nomi alle varie espressioni divertite per poterle raccogliere in piccoli sottoinsiemi (da salvare poi ovviamente in macro album che chiamerò risata tipo 1, 2 eccetera) tipo chessó “petit sourire” per questa smorfietta di felicità, oppure “grand bonheur” per questa incomparabile risata con naso arricciato che ho fatto stampare in quindici formati diversi”
La Lea, da neonata, rideva solo se una cosa era divertente.
Prevalentemente ti guardava con espressione basita, che lasciava sottendere dubbi palesi sulla sanità mentale dell’interlocutore impegnato a tentare in ogni modo di convincerla a ridere.
Io mi applicavo in ogni modo: balenavo a tradimento sulla culla cimentandomi in suoni, trilli e canti da far impallidire il più navigato performer da cabaret, per ottenere spesso lo sguardo perplesso a sopracciglia inarcate che tanto la contraddistingueva da infante.
Poi, dopo immani fatiche, eccolo, il tanto sudato sorriso.
I suoi sorrisi sono sempre stati delle meravigliose medaglie al merito da appuntarsi al petto: “l’ho fatta ridere io!”
Mentre le sue labbra appena accennavano ad inclinarsi, il cuore si apriva, e una pioggia di baci baciava quel sorriso.
Lo Jacopo, suo fratello, ride senza alcun precisato motivo.
Ride da solo, ride se starnutisce e ride se uno lo fa ridere.
Ride anche se lo saluta qualcuno che non fa assolutamente ridere, si sveglia ridendo ancor prima di aprire gli occhi.
Ecco, ogni sorriso regalato apre il cuore, e una pioggia di baci bacia quel sorriso.
Non importa quanto sia difficile, o quanto sia facile.
Non importa se sia sudato o regalato.
Non c’è nulla, nulla di più bello, del sorriso di un bambino.