Storie di parodia quotidiana

Le ultime settimane di gravidanza

Ah, le ultime settimane di gravidanza, che spasso.

Niente entra più agevolmente.
Giusto qualche pantalone premaman della tuta, ecco.
Nulla di attraente o dignitoso, comunque.

Fosse per me vivrei avvolta come un burrito all’interno di una coperta di pile tenuta decorosamente ferma con tre mollette per il bucato. Agli sguardi colmi di rammaricato stupore di mio marito, rispondo con qualcosa di simile a un ringhio ad occhi socchiusi.

Certo, vedo sponsorizzati per me questi leggings slim fit per donne incinte, lussureggianti e misto chasmere, ma dato che già infilarmi le calze la mattina è un’impresa da funanbolo, contorsionista e giocoliere al circo, contrassegno seraficamente tali pubblicità come inappropriate e vado avanti a vestirmi come fossi l’abitante di un recondito villaggio della Namibia.

“Dormi adesso che puoi”.

Dormire è certamente la parte peggiore.

Appena il cetaceo si sitema in posizione supina, ecco evocare a sé tutti i disagi possibili.

Sciatica anche nelle braccia, reflusso gastroesofageo che pare d’essersi scolati una lattina di lava all’habanero.

Per non parlare della vescica, la pipì scappa in modo incontrollabile appena ci si è affossati in un sacrale tumulo di cuscini: la sensazione predominante è l’impotenza, la stessa che coglie quando si è sotto la doccia e nella riproduzione casuale di Spotify parte a tradimento una canzone di Sfera Ebbasta e tu sei consapevole che per porre fine a quel turbamento debba irrimediabilmente esporti a movimenti e azioni tutt’altro che agevoli.

Gli incubi? Nemmeno sotto l’effetto di un acido uno farebbe i sogni prodotti da qualche scriteriato lobo del cervello di una donna in attesa.

Poi niente, in generale dormire in questa fase è come coricarsi con uno zaino sulla parte anteriore del corpo, uno zaino pieno di sassi, a cui oltrettutto piace spostarsi, come le scale ad Hogwarts.

Che poi in questi giorni ha nevicato.

La neve è bellissima, certo, in cartolina e ad Helsinki.

Tutti sappiamo che il naturale antaganoista della donna gravida è la scarpa. Ma non parliamo degli stivali, per l’amor del cielo, che per infilarli bisognerebbe aver sempre pronto un mix fra un unguento alla vasellina, un calzascarpe di un metro e venti e un paggio volenteroso che insinui il calzare alle buffe estremità che la donna incinta non scorge da mesi.

Quindi, posto il fatto che deambulare (e agghindarsi in modo appropriato per farlo) è già complicato in situazioni meteo ottimali, ecco che con precipitazioni avverse la cosa si spinge al limite dell’incautamente rischioso.

Vogliamo aggiungere azioni ancora più complesse?

Come caricare o scaricare un primogenito in auto mentre la neve scivola a tradimento nel coppino?

“Mamma” sguardo colmo di lacrime.

“Cosa amore? Sce- endi bene dalla macchina, aspe-aaspetta che ti sistemo la mantellina, regg-gi l’ombrello… No-non nell’occhio della mamma, aspe-tta.. Ecco… Dai… che andiamo all’asilo…Cos-Cosa c’è?”

“Orsetto.” tono drammatico, piccolo dito puntato verso l’alto.

“Quale orsetto?” sguardo confuso, palpitazioni, respiro affannoso, lato della mascherina in un occhio.

“Mio orsetto è rimasto in macchina. Devo portarlo nell’armadietto.” tipica espressione irremovibile di chi non scollerà un singolo scarponcino misura 24 dal paciocco, prima di aver stretto fra le mani il piccolo orsetto abbandonato al centro esatto della vettura, per raggiungere il quale la mamma dovrà contorcesi e chinarsi in modi assai poco suadenti per superare il seggiolino, scovare il babacio esatto in un assembramento di altri babaci non selezionati e nel contempo trattanere il proprio figlio vicino alla macchina, non che decida di allontarsi durante le disperate fasi di ricerca.

Sono mesi che aspettiamo.

Ma adesso l’attesa è intollerabile.

Alla minima e lievissima contrazione preparatoria vorrei già accasciarmi da qualche parte con una mano sulla fronte chiedendo che mi vengano portati i sali.

Che mezza calzetta.

Siamo pronte, ironicamente lamentine, stufe di attendere e assolutamente incontrovertibilmente non pronte a nulla.

BABBO NATALE, PORTAMI LE DOGLIE!!!!!
Na roba pacata.
Vabbè, quello che hai in magazzino, va bene.

L’attesa è estenuante, le ultime settimane complicate…

Ma soprattutto,

più di tutto,

non posso più aspettare,

Perché non ci vedo più e non solo dalla fame, ma dalla voglia di abbracciarti, bambino, non farmi più penare!!!