Fra le imprese più eroiche di un genitore, si deve necessariamente annoverare il momento dell’approvvigionamento dei generi di prima necessità: la spesa.
Questo immancabile appuntamento settimanale, man mano che un bimbo cresce, assume tratti tragicomici, grotteschi e carichi di tensione sempre più marcati.
<Mamma, prendo il carrellino dei piccoli> afferma categoricamente il rampollo di famiglia subentrando trionfalmente nell’esercizio commerciale.
Il carrellino in questione, aggeggio maledetto da evitare come la peste bubbonica, ha un’asta di ferro con bandierina fissata a un lato, con applicata una piccola maniglia cui il genitore potrebbe ipoteticamente saldamente appendersi per guidare il proprio figlio nella conduzione del mezzo.
Dico ipoteticamente, perché la propria prole, solitamente, preso il controllo del carrello in questione, in un delirio immediato di onnipotenza, adotta il modus operandi del dobermann pinscher senza senso dell’umorismo, pronto ad abbaiare minaccioso al minimo accenno di protensione del tutore verso il cestello in miniatura, dotato di ruote. Così, parte una spericolata gestione della vettura, musicata dalle raccomandazioni che evolvono presto in suppliche che vertono necessariamente in minacce del genitore disperato che sta alle calcagna del folle pirata della corsia del supermercato, che pare d’un tratto il Rally del Dakar.
Il genitore afferra la bandierina e ringhia di rallentare, sotto lo sguardo pietoso degli altri clienti e quello solidale di altri genitori sudati.
<Va bene, ma faccio io> ribatte il bimbo in questione, spostando con decisione il carrellino.
Già prima dei figli la spesa era poco strategica: entravi per prendere la carta igenica e il prosciutto e uscivi con 3 pomeli in offerta speciale, uno squacquerone in prossima scadenza e sei borse dal contenuto non meglio identificato di cui tre strette fra i denti, tutte in procinto di sfondarsi con imminenza, ovviamente prive dei beni per la quale si era intrapresa la missione spesa.
Ora, si tratta in tutta evidenza di afferrare cose a caso nella rincorsa disperata di un figlio intento a usare il negozio di generi alimentari come fosse la pista di Maranello o il circuito di Monza.
Con la mascherina poi, la situazione si complica: respiro ansante, impossibilità materiale di aprire le buste dell’ortofrutta , progettate da un genio del male con la volontà manifesta di creare disagio e scompiglio nella società, nonché una ridotta visuale dell’Hobbit intento a peregrinare fra ceste e bancali con lo sguardo incuriosito e un “perché” sempre in canna.
E vacci da sola a far la spesa!
Certo, quando si può. Per tutto il resto c’è l’esercizio della pazienza, la prontezza, l’intercettazione subitanea delle dolci manine protese verso il vetro intonso del banco dei freschi.
Fai sport? Sì, faccio la spesa, in maniera agonistica.
Alla fine degli acquisti, tagliato il traguardo della cassa, guardo perplessa il contenuto delle borse, con la testa che gira e la consapevolezza che nulla di tangibile potrà essere proposto per cena.
<Mammina, pago io?>
<No faccio io amore.>
<digito io?>
<Digito io, va.>
<Digito io.>
<Digito io, con il tuo dito.>
Riflette per un momento: < va bene.>
La spesa è questo: l’allenamento fisico di un Navy Seal e quello psicologico di un negoziatore della CIA.
E anche questa sera, non ho la più pallida idea di cosa cucineró.