L’altro giorno, mentre facevo il risotto, mia figlia si è avvicinata e mi ha detto:
<Mamma?>
<Sì, amore?> ho risposto guardandola.
<Ti amo…> ha sussurrato quella, con un grosso sorriso, le manine incrociate dietro alla schiena e strofinando la punta di un piedino davanti a sé.
Ecco, io sono rimasta immobile come uno stoccafisso norvegese, con il cuore che batteva all’impazzata e gli occhi languidi del Gatto con gli stivali che scorrazza con Shrek.
Di certo, l’ha sentito pronunciare da me e papà, anche se di questi tempi non ce lo diciamo spesso come una volta: quella, però, come un bambino in un prato intento a cacciare farfalle, ha acchiappato prontamente un “ti amo” volante nella sua retina, ostentando poi, come al solito, un’imperturbabile indifferenza. Quelle due paroline, però, le ha custodite in silenzio, osservandole incuriosita, rimirandole attentamente, sbirciandole attraverso la fessura creata dalle sue piccole mani unite a concavo: ne ha ammirato la dolcezza, i riflessi cangianti, assaporato la delicatezza; poi, a sua volta, le ha liberate.
Il risultato è stato un banco di farfalle nel mio stomaco, mentre il riso con i carciofi borbottava sul fornello.
Ricordiamoci sempre di far volare farfalle nelle nostre case, perché certamente i piccoli le acchiapperanno al volo, per poi lasciarle di nuovo andare, solo dopo averle fatte volare, proprio dentro al loro cuore.
Illustrazione Manon De Jong