Per oscuri motivi che non riesco a rammentare sino in fondo, diversi anni fa, ho volontariamente affrontato la lettura a scopo ludico del Decameron, che è un’opera certamente assai impegnativa e non solo per il fatto che materialmente, solo il volume in sé, abbia il peso specifico di una palla di cannone.
Comunque.
Ricordo che alla fine mi era anche piaciuto, anche se a distanza di anni non mi sovvenga più nitidamente il suo contenuto. O almeno non tutto: ciò che rievoco distintamente è l’inizio, quando veniva descritta una temibile e apocalittica immagine devastante dovuta ad un’epidemia che aveva colpito Firenze nella metà del 1300.
Ecco, è accaduto che il primo anno di asilo nido, mi fa venire in mente e mi si riconduce a livello metaforico, proprio all’inizio di questo poema.
Dì la verità.. tu eri uno di quei genitori che durante i primi mesi di vita del proprio figlio l’avrebbe volentieri fatto su nel domopak per portarlo in giro così da proteggerlo dai microbi, o che auspicava che le persone (e per persone s’intende NATURALMENTE SOLO ED ESCLUSIVAMENTE i parenti e gli affini entro il terzo grado), prima di toccarlo provvedessero a rendersi asettici tipo chirurgo prima dell’intervento e che sterilizzavano ogni cosa, compresi i propri arti, sottoponendoli a temperature laviche e lavaggi frequenti, giusto?
Bom, immagino POI, che tutta questa apprensione sia naturalmente sfumata dal momento in cui il proprio figlio abbia iniziato ad interagire col mondo, ciucciando qualunque cosa gli capitasse a tiro e soprattutto, preferibilmente dopo averlo intinto nella bocca del cane.
Il genitore, giunto in quest’epoca, alle persone che gli dicono “non lo prendo su perché non ho lavato le mani” oppure “ ma non farlo gattonare lì che è tutto sporco” si trova a rispondere con garbo “no guarda, scusa tu per lui, dato non so dove/cosa/come abbia toccato, assaggiato, manipolato, spalmato e palpeggiato,che i bassifondi di Bangkok sono più puliti.”
Perfetto.
Con qualche fisima in meno allora, il genitore s’appresta a portare suo figlio al nido.
Coloro i quali gli dicevano “Ah, vedrai, il primo anno saranno più i giorni a casa che quelli di frequenza” egli li snobbava con una certa arroganza e noncuranza tipo uccellaccio del malaugurio, superandoli con una smorfia e commentando, fra sé e sé <“ evviva, un altro “Gianni l’ottimismo”, ma fatemi il piacere, quante BALLE>.
Inutile dire che tali personaggi dicevano NULL’ALTRO che tragicamente il vero.
Ed è così che il genitore d’un infante frequentante l’asilo, comincerà dopo pochissime settimane a rassegnarsi a collezionare a ‘mo di bollini del benzinaio, le varie malattie del proprio figlio, guardando e assistendo incredulo e raccapricciato ad eruzioni cutanee, tossi cavernose che nemmeno un accanito fumatore di Muratti e svariate altre orripilanti e sconcertanti manifestazioni, senza nemmeno poter vincere uno zaino o uno squallido marsupio.
Interrogherà disperatamente i propri genitori per scoprire quali malattie infettive abbia fatto durante la propria infanzia, così da poter spuntare tipo schedina gli inquietanti morbi che girano fra le mura scolastiche, appuntandosi come una medaglia al petto ogni malattia esantematica che questi certifichino egli abbia sicuramente già fatto.
Spesso, il povero tutore, si troverà in prima battuta ad accudire suo figlio (destreggiandosi a fatica fra gli impegni lavorativi in totale assenza o quasi di qualcuno che possa badare per lui al piccolo, dato che i nonni oggi lavorano fino a settant’anni) FIGLIO IL QUALE gestirà con una certa disinvoltura l’attacco dei microbi, per poi rimanere in modo beffardo a sua volta vittima dello stesso attacco, che su di lui avrà invece effetti catastrofici tali da renderlo gravemente offeso per diverse settimane, con febbri da cavallo ed episodi di delirio e vaneggiamento, associati a grandi difficoltà a riconoscere anche i suoi più stretti conviventi, scambiandoli spesso e volentieri per inquietanti figuri molto simili a monatti.
Ecco che più ansiosi ed impressionabili, eseguiranno cambi pannolini su sederini arrossati con scene ad altro tasso drammatico, davanti al proprio bambino sfoggiante la tipica “espressione interrogativa” dinnanzi a “genitore instabile”, pianti e mani alla fronte allo scorgere la prima inquietante pustolina.
Mandando il figlio all’asilo quei due giorni al mese, il genitore si chiederà quale specie di anticorpi geneticamente modificati abbiano le maestre, per poter sopravvivere in quel luogo assai simile ad un lazzaretto.
Egli, senza sforzo alcuno e senza volerlo imparerà i rudimenti di pediatria, diverrà imperturbabile di fronte alle immagini raccapriccianti proposte da google quando interrogherà il motore di ricerca sui sintomi di questa o quella malattia.
Per Natale, chiederà l’enciclopedia medica, garze e una tessera regalo prepagata in farmacia.
Egli diverrà alchimista, mastro della pomata, gran visir delle spugnature, vate della calendula, devoto al paracetamolo e il suo tasto rapido nel cellulare sarà indiscutibilmente, necessariamente e indubbiamente,
quello della pediatra.