Storielle e minuti aneddoti di Parodia

Polverosamente me.

Voglio parlare dei mercatini dell’usato.
Insinuatami fra le bancarelle cariche di oggetti obsoleti, laccati in oro e dalle desuete forme, sento crescere in me l’esigenza ad acquistare per pochi spiccioli un libro rilegato alla moda antica, che sia un tometto che riunisce codici di leggi superate oppure di fiabe dei fratelli Grimm, con i fogli ingialliti e il nome del proprietario ancora scritto nella prima pagina: m’immagino il suo precedente possessore, un bambinetto negli anni sessanta con i pantaloni alla zuava di velluto, un maglioncino bordeaux di lana legato sulle spalle e il suo bravo libretto sotto il braccio,suo prezioso tesoretto, che ora non vedo l’ora di leggere a mia figlia.
Compro un volumetto per pochi spiccioli,lo metto sotto l’ascella e comincio a vagare sentendo crescere in me un sentimento bohémien e il desiderio di comprare un sottotetto dove scrivere poesie in stato di povertà e annichilimento o a rivoluzionare il nostro salotto sostituendo la mobilia Ikea con un’accozzaglia disperata di mobili antidiluviani, desueti e passati di moda.
Guardo mia figlia nel passeggino, e me la vedo signorinetta a gironzolare come faccio io, ammirando e curiosando quell’oggettistica inattuale ma piena di fascino. Immagino i suoi grandi occhi dalle lunghe ciglia vagare da un orologio a cipolla da taschino e una bottiglia annerita dalla forma curiosa; me la vedo sfiorare col dito le piccole cornici dorate di raffigurazioni in stile francese di generose dame con in braccio un cincillà.
Curioso fra i dischi sognando di ascoltarli con un fonografo, m’incanto davanti a brocche di rame, chincaglieria e ninnoli ; osservo con malcelato terrore le bambole dagli occhi di vetro sedute ordinatamente le une accanto alle altre, con i loro sorrisi inquietanti (che vorrei tanto chiedere al loro inventore se la sua intenzione originaria fosse stata quella di creare effettivamente un gioco oppure semplicemente un’icona spaventevole che avrebbe terrorizzato innumerevoli generazioni, peggio dei clown o degli orsetti di lana infeltrita con l’occhio a penzoloni.)
Vorrei comprare di tutto: scatole di latta, caffettiere napoletane e ferri di cavallo; una sedia con la seduta in vimini, da fare invidia alla più canonica casa della nonna. Biglie e giochi degli anni ’80, un abbecedario e un volumetto chiamato “il piccolo alpino”.
Cappelli e scarpe fuori moda, vestiti ingialliti dalla fattura antica.
Scorgo una scatola piena di piccoli, perfetti pezzi d’arredamento per le case delle bambole, e cammino sognante immaginando che costruiremo a mano la residenza di piccole bambole intagliate con le nostre mani per nostra figlia, sicuri che riusciremo ad instillare in lei la convinzione che la barbie cavallerizza all’ultimo grido che costa cinquantanoveeuroenovantanovecentesimi nulla vale in confronto ad un grottesco babacio fatto da un (volenteroso) genitore SEPPUR non avvezzo a modellare neanche il pongo.
Mi trattengo dal legarmi un fazzoletto in testa e scambiare il nostro passeggino con una carrozzina polverosa anni ’50 dalle grandi ruote bianche.
Lea dorme, Claudio fruga in una cassetta piena di fumetti e io mi sento sul set di un film di Woody Allen che mi manca solo un sottofondo di musica Jazz e sono pazza di gioia.