Growing together Storie di parodia quotidiana

Adesso ci sei tu

“Ecco Lea, questa era la tua palestrina. Sei d’accordo se ora la passiamo allo Jacopo mentre tu continui a possedere la totalità sconfinata, indeterminata e indeterminabile di giochi disseminati per casa? A proposito, la tua pannocchia di plastica era nel frigo, tieni.”

Annuisce solennemente :” va bene mamma. Tanto sono grande, io.”

Prendo la palestrina, la sfodero e la lavo.

La rimonto-NON È VERO! LA RIMONTA MIA MAMMA PERCHÉ IO NON SO SFODERARE NÉ RIFODERARE MANCO UN CUSCINO – attacco i pupazzetti ai gancetti e ci piazzo in mezzo lo Jacopo, che tutto contento, prende a strattonare con insistenza un rospo verde vestito da principe azzurro.

La Lea lo guarda attentamente.

Poi inizia a requisire ad uno ad uno i giochi penzolanti.

“Amore ma cosa fai?”
“Mi SERVONO, QUESTI, mamma.”

Un fratello ti insegna ad apprezzare ciò che per diverso tempo hai snobbato e dimenticato senza alcuna pietà.

Dal gelataio.

“Buono il tuo gelato?”

Mi rivolge un sorriso a trentadue denti, tutti sporchi di cioccolato, come le guance, gli occhi, le orecchie, i capelli.

Lo Jacopo è nel passeggino, e la fissa con bramosia. Poi guarda me, che lecco il mio cono e mentre io mi sento terribilmente in colpa, lui continua ad osservarmi con insistenza, con quegli occhi grandi che dicono espressamente: “facciamo che quando introduci qualcosa di solido, dato che sono settimane che vi guardo consumare leccornie davanti a me, bypassiamo lo stracotto di carote alla colla vinilica e facciamo che concentararci sul ricoperto all’amarena?”.

Un fratello ti insegna a gustare ancora di più il gelato, che il cioccolato non ce l’hai solo infilato nei padiglioni auricolari ma fin dentro il cuore, tuo e di tuo fratello, anche se ancora non ha potuto nemmeno assaggiarlo. Ma già sa che è buono.

La sera, c’è un tempo in cui magicamente, come la gallina di Giucas Casella, i nostri due bambini si addormentano circa nello stesso momento.

Quello è l’attimo non solo della gloria, della gratitudine sconfinata, del vagheggiamento mistico del silenzio, quello della pace e della contemplazione. È il momento in cui si blocca il tempo, in cui i miei occhi si soffermano, mentre trattengo il fiato, su ciglia lunghe uguali uguali, e piccole e piccolissime mani teneramente abbandonate sul letto.

“Sono fatti con lo stampino”, come dicono tutti.

Differenti, ma tanto uguali.

Un fratello é la cosa più diversa da te che più t’assomiglia al mondo.

Siamo sul divano, guardiamo un cartone.

Lo Jacopo continua ad emettere i caratteristici suoni di un Garelli smarmittato, la Lea osserva in trance le immagini sullo schermo.

Il cartone parla di un fratellino che con occhi grandi vede la sua sorellina per la prima volta.

Mamma e papà gliela stanno presentando.

Alla Lea vengono gli occhi lucidi.

“Il mio è un maschio, ma anche io ne ho uno così” dice a mezza voce.

Pochi ricorderanno distintamente quando gli è stato presentato un fratello minore, quasi nessuno un fratello maggiore.

Eppure, quello è un momento che andrà a rifugiarsi nella memoria del cuore, rannicchiato lì, caldo e potente come Calcifer nel castello di Howl, e spunterà fuori a tradimento per farti diventare gli occhi lucidi, lucidissimi.

Un fratello ti insegna ad essere sorella, ad essere due, tre, quattro, nel confine di una casa, con lo steccato d’amore, dove tutto non è solo mio, ma anche un po’ tuo, anche se non mi va, anche se preferivo di no, anche se mi sono accorto che quello che ti volevo dare mi serve ancora, anche se sei arrivato tu e non sono solo più io, ma intorno a me non c’è di meno, ma di più, sempre di più, un fratello ti insegna questo,ora non sono solo io, perché adesso, ci sei anche tu.