Ho segnato sul calendario il giorno in cui mia figlia ha disegnato la sua prima nuvola.
Ieri l’altro, poi, mio figlio ha dato una sequenza di ganci mirati ai pupazzi che pendono dalla sua sdraietta, che fino a qualche giorno prima non aveva mai considerato. Ho strizzato fortissimo gli occhi e mi sono concentrata tantissimo, il tutto nel disperato tentativo di immagazzinare e memorizzare il catartico momento in cui si era accorto, per la prima volta, di avere delle manine da utilizzare come Rocky Balboa.
Ho segnato l’addio al ciuccio, prima ancora quello al pannolino.
“Portavi anche me nella fascia mamma?”
Non lo ricordi più amore, ma sì, portavo anche te, allo stesso modo.
Ci sono momenti in cui pare che il tempo non passi, attimi in cui mamma e papà si sentono subissati da situazioni che paiono non mutare mai.
Il tempo in cui i bambini non dormono sembra infinito, e poi passa.
Il tempo in cui un bimbo non parla, non cammina… E poi quello direttamente prende a discorrere come uno dei più insigni filosofi e a correre come Usain Bolt, tutto in un attimo.
Fatica, stanchezza, disordine, rumore…passeranno troppo in fretta.
Io non ho fretta.
Sul calendario segneró la prima nuvola, e quando non lo ricorderai te lo racconterò.
“Sembrava proprio una nuvola, te lo assicuro. “Uno stratocumulo”, aggiungerò, quando farai scienze a scuola.
E arricchiró la descrizione, man mano che diventerai grande: in questo modo, piegheró il tempo, uniró lembi lontani, lo avvicineró a questi momenti meravigliosi, dove siete piccoli, per così poco, e lo farò mentre con ammirazione, vi guarderò diventate grandi.