<Sceglio io come mi vesto.>
No, non siamo sul set del Diavolo Veste Prada.
Sono le 07 e 15 minuti del mattino e io e mia figlia di due anni e mezzo, fra un quarto d’ora esatto, dovremmo necessariamente aver fatto colazione ed essere in macchina, pronte a partire.
INVECE, siamo ancora davanti al cassetto dei suoi abitini: io, intenta a saltellare febbrilmente incitando mia figlia a scegliere un capo, e lei, impegnata a scuotere lentamente la testa, con una mano teatralmente alzata, il palmo aperto nella mia direzione, il tutto asserendo solennemente: <non si dice veloce alla Lea> parlando in terza persona come fosse il Re Sole.
<Amore, scegli qualcosa, su, dobbiamo andare> la esorto con impazienza.
<Questo?> chiede alzando con tutta calma un piccolo pile verde.
<E’ luglio amore, dove vai col pile? Scegli una cosa estiva.>
<Questo?> riprova porgendomi una maglia-muta per il mare.
<No, quella non va bene.>
Riflette per un attimo.
<Va bene, questo.> stabilisce pescando due capi il cui accostamento di colori, fantasie e stile, avrebbe fatto impallidire anche i Pink Floyd.
<Accordato> ho detto, accontentandomi del fatto che fossero abiti perlomeno consoni alla stagione.
<Andiamo?>Quella non si muove, mi guarda con occhio critico.
<Tu? > dice indicando il mio vestito, l’espressione ancora dubbiosa.
<Io cosa?>
<Tu cosa metti?>
<Questo!>
<No. Non va bene, quello.>
<Ma l’abbiamo comprato insieme! >
<Non va bene, quello.> ripete epigrafica.
Ottimo, bellissimo, io intanto comincio a ordinare quattro bancali di Valeriana per l’adolescenza.