Storie di parodia quotidiana

Mini Te

Comunque.

Io sono una persona/mamma veramente giocherellona: tipo cucciolo di golden retriever, per rendere l’idea. Sono sempre pronta a rotolare, scarabocchiare, infilare le mani in pasta e sozzarmi da capo a piedi.

Mia figlia, dal canto suo, rivendica con grande cocciutaggine la sua tendenza invece, ad essere più posata, placida e nivea.

Non che le manchino momenti alla AC/DC, o alla Jackass o di eroica ribellione tipo Braveheart; inoltre, ella non disdegna per nulla saltare a pié pari nelle pozzanghere, né rotolarsi con destrezza nella cuccia del cane, ma di certo, è una bimba molto più raccolta della sua mamma goffa e casinara.

Ha preso certamente da papà Claudio, ordinato e metodico, tornitore/metalmeccanico di professione ma intimamente, segretamente e psicologicamente rappresentante mancato della Folletto, nonché principale azionista della Swiffer: non è raro infatti, vederli armeggiare quasi in sincrono, con scope e scopette, traghettare da una parte all’altra del salotto il rotolone di carta per asciugare o lucidare chissà cosa, rincorrere batuffoli di polvere e alzare gli occhi al cielo per qualche disastro da me provocato.
Ed è tutto un <puliscio io papà!> mentre quello la guarda innamorato e pieno di orgoglio.

Io propongo a mia figlia di impiastricciarsi le mani e quella mi chiede un: <cuccaio, GRAZIE>.

Le dico di customizzare sfrontatamente con i pennarelloni una scatola con la quale poi suo padre dovrà ritirare la spesa saltandoci dentro, e quella invece la appiattisce, si sdraia sul tappeto e prede a colorarla ordinatamente su un lato.

Talvolta, mi sento come quegli animatori che mentre sei in spiaggia panato di crema come un cordon bleu, con il solo desiderio manifesto d’essere lasciato lì a scioglierti nei tuoi stessi liquidi come uno squacquerone, ti propongono con grande entusiasmo di seguirli al fine di partecipare a un qualche ballo di gruppo o per sfoggiare doti canore non ancora pervenute: <grazie, ma io quando ballo sembra solo mi si sia infilata una lucertola nelle mutande e il mio timbro di voce pare proprio la sirena che annuncia il fine turno agli operai, perciò credo di dover declinare l’allettante offerta, mio malgrado> affermi svicolando magistralmente l’invito. Ed  ecco che io, allo stesso modo, propongo a mia figlia con esaltazione di dipingersi il naso e quella mi domanda un foglio, scrutandomi con meravigliosa e candida perplessità.

Una volta ho comprato due maglie, una per me e una per la mia bambina: sulla mia c’era scritto “Me”, sulla sua, “Mini Me” .

Nonostante in prima battuta la cosa mi avesse divertita, tanto da convincermi a impegnare buono spazio della memoria del mio smartphone per ritrarre quella buffa accoppiata di vestiario, quelle due maglie non sono più riuscita a sfoggiarle, anche se ovviamente si trattava solamente di un ironico slogan (ma quando mi fisso su un concetto, sono peggio di una mensola attaccata al muro con il millechiodi): il motivo di questa caduta in disuso è che sono fermamente convinta che lei non sia assolutamente una “Mini me”, ma inequivocabilmente, assolutamente e totalmente, fin dal suo primo vagito meraviglioso, esclusivamente una “Mini Lei”.

E ogni suo tentativo, ogni sua rivendicazione per rendere nota ed evidente la sua personalità, per me è occasione di crescita e grande consapevolezza:dai bimbi dobbiamo tirar fuori ciò che sono loro e non mettere dentro ciò che vorremmo noi, seguendo le nostre aspirazioni.

Amore mio, sei una “Mini te” così tanto grande, così tanto forte, che ogni giorno ne imparo con grande ammirazione, una nuova.